God Loves, Man Kills: la parabola di Claremont sul razzismo

Il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz, trovandosi di fronte a quello che sarebbe diventato il simbolo del nazismo e dell’Olocausto. Nel 2000 il Parlamento Italiano scelse il 27 gennaio per celebrare il Giorno della Memoria nel ricordo delle vittime di quella tragedia. Cinema, letteratura, e non ultimo il fumetto, hanno affrontato in molte forme la tragedia della Seconda Guerra Mondiale e i terribili effetti della follia umana. Questo articolo fa parte di una serie di articoli che LoSpazioBianco in oltre dieci anni di attività ha dedicato al tema.

La casa editrice Marvel è universalmente conosciuta anche come la casa delle idee; in decenni di pubblicazioni a fumetti si è fatta riconoscere per essere, fra le due case editrici mainstream che pubblicavano e pubblicano fumetti di supereroi in USA, quella meno legata a lacci, lacciuoli e convenzioni e sempre pronta a seguire le mode e gli umori del pubblico, a differenza della DC Comics (soprannominata Distinta Concorrenza) sempre un po’ più imbalsamata.

Una delle idee migliori che abbia mai avuto la Marvel è stata quella di affidare il comando del vapore, nel lontano 1978 (e fino al 1987) ad un ventisettenne giovane prodigio (aveva debuttato ai testi di un fumetto di supereroi a tredici anni), Jim Shooter. Al netto delle critiche sulla sua gestione ferrea e dispotica che aveva avuto come risultato il rispetto delle deadlines da parte degli autori ma anche le fughe di firme illustri, il regno di Shooter ha brillato proprio per la quantità di idee e progetti editoriali che hanno sovente lasciato un segno.
Dai cross-over come appuntamento fisso per reunion fra supereroi, sia inter-editore che fra editori diversi, all’idea del costume nero (e quindi di Venom) di Spider-Man; da un maggiore rispetto dei diritti dei creatori (restituzione degli originali e retribuzione con royalties), all’assegnazione di testate ad autori completi quali Walter Simonson, John Byrne, Frank Miller
In mezzo, una costante crescita in termini di gradimento di pubblico e di critica delle serie dedicate agli X-Men e, arrivando finalmente in tema alla nostra recensione, la creazione di una serie di albi autoconclusivi in formato gigante realizzati dai migliori autori sulla piazza non per forza collegati a personaggi Marvel già esistenti.

Le Marvel Graphic Novel debuttarono, il primo aprile 1982, con La morte di Capitan Marvel, riuscitissimo colpo, anche di marketing, che descriveva una delle poche morti (quasi) definitive in ambito supereroistico. Il primo dicembre 1982 uscì il quinto numero della serie, con il titolo God Loves, Man Kills e sulla cui copertina spiccavano i nomi degli autori (anche questa una novità per l’epoca e, in generale per il fumetto popolare): Christopher Claremont e Brent Eric Anderson.

Del primo si può dire che sono stati suoi i testi dal 1975 al 1991 della testata principe dei mutanti nonché una infinità di personaggi e eventi poi sfruttati dalla casa editrice a più non posso.

Il secondo è un disegnatore dalle anatomie realistiche ma dalla notevole dinamicità figlio della piccola rivoluzione portata nei comic book statunitensi da autori quali Neal Adams su tutti. E non è un caso che la graphic novel, in prima assegnazione, fosse stata affidata proprio all’autore newyorkese che, realizzate anche alcune tavole, lasciò il lavoro per problemi contrattuali sulle royalty.
Anderson ha raggiunto poi il successo definitivo solo una quindicina di anni dopo legando il proprio nome e la propria arte a quello di Kurt Busiek, nella realizzazione della pluripremiata serie Astro City, in tutte le sue declinazioni (serie e miniserie).

Graficamente, Brent Anderson è libero di muoversi come sente, come sovente accade nei comic book americani, senza vincolo di gabbie prestabilite. Il formato, più grande rispetto alla tavola del comic book standard, gli permette inoltre di inserire molte più vignette e di sfruttare la grandezza della tavola per altissime vignette/sfondo a tutta tavola o larghe panoramiche. In generale ogni tavola ha molte vignette, in alcuni casi davvero tante, quasi a scimmiottare quel tipo di costruzione piena e serrata dei volumi a fumetti che si realizzano per il mercato francofono.
In generale la sua prova d’artista è buona; non ha particolari difetti plateali, diversifica le tavole al massimo e piazza qua e là alcuni colpi quasi di genio (la tavola sedici, ad esempio) oltre a rendere con forza la drammaticità di moltissime rapide sequenze di botta e risposta tipiche della scrittura dello sceneggiatore canadese.

L’attore Chris Claremont, prestato alla scrittura e dirottato da Len Wein alla testata degli X-Men (la testata era in calo di pubblico e la scelta di farla sceneggiare da un giovane quasi esordiente non attirò critiche proprio per questo), aveva, nei primi anni di gestione degli uomini X, già fatto vedere di che pasta fosse l’autore; ogni personaggio era stato ampiamente scandagliato e mostrato ai lettori e le interazioni fra i vari mutanti erano quasi più interessanti e dettagliate degli eventi prettamente supereroistici della testata (più volte si è parlato degli X-Men di Claremont come di una soap-opera di supereroi, vista l’attenzione quasi eccessiva ai momenti di dialogo o di svelamento dell’intimità quotidiana).

Il distacco di questo albo dalla serie regolare è chiaro. Si parte dal formato e dalla foliazione della storia; entrambi praticamente inediti per storie degli uomini X (il numero precedente era servito per introdurre la controparte giovane degli stessi, i Nuovi Mutanti, sempre su sceneggiatura di Claremont). La storia è autoconclusiva e presenta un personaggio mai apparso in precedenza, il reverendo William Stryker. Gli stessi protagonisti, con un abile quanto oggi apparentemente ingenuo stratagemma narrativo, vengono presentati ai lettori come se fosse la prima volta, con tanto di origine e informazione sui superpoteri.
Sembra quasi, il volume, un numero zero realizzato per finire nelle mani di chi non ha mai letto la serie mensile e in grado di attirarlo e incuriosirlo così tanto da spingerlo poi a comprarla.
Pur se molto forzate, infatti, le tematiche oggetto della storia sono quelle di fondo della serie, anche se manca del tutto lo scontro degli uomini X con supercriminali o con mutanti malvagi. Uno di essi, Magneto, destinato ad una lunga carriera di vieni e vai fra le liste dei mutanti buoni e cattivi, è però presente nella storia; presenza doppiamente importante perché si tratta di un sopravvissuto ai campi di concentramento, come narrato in piccoli flashback durante le serie regolari ma soprattutto, nel 2008, nella miniserie Magneto Testament di Greg Pak e del nostro Carmine Di Giandomenico.

La mancanza del marchio di garanzia per il lettore (il famoso bollino del Comics Code Authority) permette all’autore e al disegnatore maggiore libertà; per esempio, per soprassedere sulla scena iniziale della quale parleremo oltre, potrebbe essere la prima voltache viene usata la parola “nigger” in un albo Marvel.
Ma non è solo l’uso di una parolaccia a rendere questo volume adatto ad un pubblico più adulto; non è un caso che la maturità del soggetto della graphic novel abbia, a venti anni quasi di distanza, fatto innamorare il regista Bryan Singer che ne ha citato ampiamente passi e idee nel suo film (il secondo della saga) X-Men 2.

Dell’essere o meno in continuity o, per dirla in maniera ancora più seriosa, del decidere se questo volume sia o meno parte del canone delle storie degli X-Men si è discusso a lungo. La storia, controllando la formazione degli X-Men e il Marvel Index, si svolge nella quasi totalità durante Uncanny X.Men #168 (Aprile 1983) e #169 (Maggio 1983). La questione relativa all’inserimento nel canone diremmo che è stata ampiamente superata quando, nel luglio del 2003, nell’albo X-Treme X-Men #25 da lui scritto, Chris Claremont fa comparire di nuovo, a distanza di venti anni, il reverendo Stryker, ancora in detenzione dopo gli eventi narrati nella graphic novel.

Il plot è molto lineare, non prevede che pochi colpi di scena anche abbastanza telefonati; è raccontata in quasi contemporanea da due punti di vista. Il primo è l’occhio che segue il reverendo Stryker, vero protagonista della storia; il secondo segue le vicende degli uomini X, qui in una formazione abbastanza famosa, con Tempesta, Ciclope, Wolverine, insomma tutti i pezzi grossi dell’epoca.
Le vicende narrate sono quelle di una vera e propria crociata anti mutante, opera appunto del reverendo Stryker, ex Sergente Stryker dei Ranger. Con mezzi leciti (comizi, ospitate televisive e infine nel discorso al Madison Square Garden di New York dove la storia ha epilogo) e molto meno leciti (che vedremo) il reverendo mette su una articolata e violenta battaglia contro quelli che, agli occhi della opinione pubblica, vengono dipinti come appartenenti ad una razza differente. Si vedrà poi da dove l’odio verso i mutanti fosse nato nel cuore del reverendo.

A chi sembrerà forzato quanto scriveremo d’ora in poi, ci sentiamo solo di rispondere che, se anche lo fosse, il solo fatto di aver comunque ricordato vicende realmente accadute, che mai dovremmo dimenticare, ci farà dormire sonni tranquilli.

“Un’esecuzione. Non la prima, certo non l’ultima. Ma le vittime sono bambini. Così piccoli… così innocenti…, per conoscere un tale terrore. Loro unica colpa: essere nati.”.

Queste sono le parole di Magneto nella traduzione di Marco M. Lupoi nella prima edizione italiana del volume del 1986, ad opera della Labor.


Nel volume 30 anni di X-Men edito nel 1993 dalla Tornado Press, gli autori Domenico Cammarota e Mario Uccella indicavano in (almeno) tre i racconti che avevano in un qualche modo preannunciato le tematiche (ed anche alcune storie) poi utilizzate nei racconti delle vicende degli uomini X. Il racconto The Time Machine di H.G. Wells (con la creazione dei Morlock, razza mutante disprezzata dagli umani), il racconto He that hat wings di Edmond Hamilton i il romanzo Slan di Alfred Elton Van Vogt. In questo ultimo “slan” è il termine dispregiativo con il quale vengono chiamati i mutanti. “Mutie” è il corrispettivo per indicare con disprezzo gli uomini X dell’universo Marvel. Ed è il cartello che è appeso al collo, ad apertura della tavola tre della graphic novel, di un ragazzino giustiziato a sangue freddo, di spalle, dagli uomini (e donne) di Stryker nella prima, violentissima, sequenza di apertura della storia. Lui (undici anni) e la sorella (nove) non sono ebrei nell’Europa impazzita degli anni ’40; sono normali ragazzini di Westport, in Connecticut, negli anni ottanta.
Ma la follia che spinge a cacciarli e eliminarli pare la stessa che animava i fucili dei nazisti. Il motivo è: “perché non avete diritto a vivere” (“because you have no right to live” il testo originale), come apprendiamo dalle labbra di Anne, luogotenente armato del reverendo Stryker. I corpi dei piccoli vengono lasciati appesi ad una altalena nel cortile di una scuola, come monito per i bambini della stessa che li avrebbero visti l’indomani mattina, con addosso il cartello con su scritto “mutie“.

Il 21 aprile furono fucilati i primi quattro. […] Il giorno seguente diciotto persone […] furono impiccate […]. I loro corpi rimasero esposti per alcuni giorni, per scoraggiare altri attacchi.

Questo passo è tratto non dal fumetto, ma dal volume La storia della Shoah Volume Secondo, edito dalla Utet, in riferimento ad una rappresaglia a Pancevo, vicino Belgrado, nel 1941.
I creatori dei mutanti furono Stan Lee e Jack Kirby. Entrambi ebrei. Questa storia, come detto più volte, è stata scritta da Chris Claremont, anche egli ebreo. Da giovane era stato a lavorare in un kibbutz, a nord di Hebron; racconta di essersi trovato in un piccolo pullman accerchiato da carri armati, allarmati da rappresaglie in atto. Racconta di aver saputo solo dopo che il secondo pullman con il quale viaggiavano era quello “incaricato” di partecipare al conflitto a fuoco laddove fosse scoppiato. Dopo poco tornò negli Stati Uniti; era la fine degli anni sessanta.

[…] Un gruppo di bambini ebrei non fu ucciso subito. […] …molti di questi bambini vennero stipati in tre camion e fucilati in un vicino poligono di tiro… […].. […] il Comandante-in-Capo (Reichenau) riconosceva la necessità di eliminare i bambini e voleva essere informato una volta che il piano fosse stato attuato.

Sempre dal libro prima indicato, da Volume Primo, pagina 17.

E il problema della razza e della diversità e del rifiuto dell’altro è chiaramente un pretesto sul quale sia il reverendo Stryker che il suo illustrissimo predecessore Adolf Hitler hanno costruito le loro teorie e le loro azioni: la “rimozione degli ebrei nella loro totalità” era il fine di quest’ultimo; gli ebrei dovevano espiare “la propria colpa”. Le parole di Stryker sono invece: “The soul That sinneth it shall die“. Trovate la differenza. Non c’è.
Gli umani (gli ariani) sono una razza superiore, l’esistenza di altre razze è un affronto alla divinità della razza umana (ariana); vanno di pari passo, a braccetto, i deliri xenofobi dei due personaggi.

Un mese dopo […] Hitler paragonò gli ebrei a insetti e parassiti, dichiarando che ai popoli moderni non rimane altro che sterminare gli ebrei.

Mutant hellspawn, I deny you! I cast you forever into the abyss!“, questo dice il reverendo Stryker mentre uccide la sua fida Anne, nonostante la fidata lealtà, dopo aver scoperto che era una mutante.

Sono ardite le spiegazioni che il reverendo Stryker si preoccupa di arzigogolare per convincere tutti i popoli del mondo che il diverso, il mutante, è pericoloso, cattivo, da annientare. Eppure lo stesso reverendo ha un largo seguito e nell’opinione pubblica le sue teorie fanno breccia, al pari di quelle naziste.
Interessante notare come, nella storia, vi sia anche una giovanissima mutante, uno dei personaggi che Claremont ha maggiormente amato (è universalmente riconosciuta la sua capacità di entrare nelle teste delle donne tanto da riuscire a rendere le X-woman personaggi credibili ed affascinanti), Kitty Pride che è anche ebrea. Nella storia ha un alterco con un ragazzo, come lei studente nella scuola di ballo di Stevie Hunter, una ex ballerina di colore amica degli X-Men (personaggio, ovviamente, creato da Chris Claremont e John Byrne). I due, giunti alle mani, vengono separati da Rosie e da Ciclope e Kitty, al tentativo di minimizzare gli insulti anti-mutanti del ragazzo, risponde a Stevie facendole notare che forse non sarebbe stata così tollerante se gli stessi fossero stati perché “amica dei negri” invece che dei mutanti.
Sono messaggi forti, quelli espressi in queste pagine, e, dopo la scena dell’esecuzione a freddo dei bambini e questa, siamo solo a tavola otto (su sessantadue totali)…

La storia, successivamente, segue l’escalation di violenza e istigazione alla xenofobia del reverendo; questo ultimo sa che i mutanti consapevoli dei propri poteri (gli X-Men) hanno una base dove vivono e si allenano e mette la loro eliminazione fra le priorità della sua azione.

Mancano, e ci verrebbe voglia di non citarli per non rovinare la lettura, i motivi che spingono il reverendo a comportarsi in questo modo; la difficile reperibilità del volume (ristampato recentemente in Usa, attualmente esaurito nella ristampa Panini nella versione italiana) però potrebbe autorizzarci a svelare l’arcano. Il sergente Stryker ha visto nascere il suo figlio mutante e, inorridito, impaurito e non in grado di reggere emotivamente la diversità, ha reagito uccidendo sia il bambino che sua moglie. Da quel momento la sua vita è cambiata ed ha intrapreso la sua crociata.
Il reverendo non è stato in grado di accettare il diverso da sé; non ha voluto neanche avere alcun contatto, ha deciso aprioristicamente che una razza diversa, una diversità fisica o genetica rendesse suo figlio non degno di vivere nel mondo.

Follia, ignoranza, stupidità, intolleranza, grettezza… quali (tutti insieme, diremmo) sono i motivi che portano, nel ventunesimo secolo (così come nel ventesimo), milioni di persone a odiare e respingere qualcuno perché la sua pelle ha un colore diverso o perché la sua “razza” non è ariana pura ognuno può deciderlo da sé.

Questa storia veicola almeno due concetti importanti: le masse possono (e sono anche oggi, soprattutto oggi, laddove basta poco -magari cavalcare l’onda di un malcontento- per avere un seguito acritico alle spalle) abbastanza facilmente essere indirizzate verso un odio (razziale, in questo caso) da personaggi senza scrupoli che magari hanno nella loro testa ben altre motivazioni.
Il secondo concetto è espresso da Kitty Pride (un cognome che, in questo caso, la dice lunga sulle qualità della signorina e sull’orgoglio di essere sia ebrea sia mutante) nella parte finale della storia: non è la razza o un cromosoma X differente nella mappa genetica di una persona a renderlo umano o disumano.
Un concetto ripreso e chiarito molto bene nel libro X-Men and Philosophy:

Despite how they frequently look different, the experience of being a minority assimilating into a majority culture makes them the same, not different: entitled to equal and fair treatment and tolerance.”

Ed ancora:

More important, though, the X – Men series continually asks its readers to consider the ways in which people treat others who are different from them.”.

Sono problematiche, si vede, decisamente alte per un semplice piccolo fumetto di tizi in calzamaglia. Il reverendo Stryker, con le sue continue citazioni dalla Bibbia e dalle Sacre Scritture, prova ad instillare nella gente non solo la paura ma anche l’orrore verso corpi e sembianze che si distaccano da quella che lui potrebbe chiamare normalità.
Sempre dal libro sopra citato:

“[…] prejudice against mutants suggests that they are to be feared because of how they look or what they can do, without any genuine basis in reality. So, what sense can we make of the social reality of race? We all accept the reality of categories that don’t have their basis in biology or DNA.”

Per concludere con qualche altra nota degna: a tavola quarantasette, prima dello scontro finale, Magneto cerca di spiegare agli X-Men il suo punto di vista sulla battaglia infinita fra l’uomo e il mutante. Lo fa con parole pesanti ma ben pesate; cerca di convincere Ciclope, Scott Summers, l’allievo prediletto del Professor Charles Xavier, che il compito dei mutanti è quello di prendere in mano le redini del pianeta. Che gli umani sono una razza litigiosa e che cercheranno sempre di metterli in un angolo. Compito dei mutanti, in qualità di esseri migliori, superiori, è quello di guidare il mondo avendo la capacità di sedare ribellioni, dare pace e prosperità. Singolare ma non troppo come Magneto, mutante e ebreo, più volte oggetto di violenti episodi di razzismo da piccolo e, come detto, scampato alla morte in un campo di concentramento pensi che la soluzione del problema (l’intolleranza e il tentativo di uccidere i mutanti perché indegni di vivere) sia quello di sottomettere gli umani, giudicandoli inferiori…
Le sue parole non convincono Ciclope, decisamente dalla parte del Professor X (pacifica convivenza fra mutanti e umani è il suo credo); nella sua risposta però è oltremodo profetico leggere la parola Utopia. Dice Ciclope che è facile proporre una Utopia ad una generazione, il problema è farla durare per sempre. Profetico alla luce dei recentissimi eventi che han coinvolto gli uomini X  e Ciclope in particolare (Utopia è il nome dell’isola artificiale dove sono stati costretti a rifugiarsi in numero ridottissimo dopo una strage che ha decimato i mutanti e la realizzazione di un mondo perfetto senza guerre e senza problemi economici e di approvvigionamento gestito dai mutanti una realtà realizzata proprio da Ciclope nel cross over Avengers Vs X-Men).

La vittoria contro il reverendo Stryker, quindi, sarà, come detto dallo stesso Magneto alla fine del volume, una semplice vittoria di Pirro, perché la guerra non solo sarebbe stata ancora molto lunga, ma sicuramente non vincibile, se giocata alle condizioni dettate da Charles Xavier. Alla luce degli eventi che hanno coinvolto i mutanti negli ultimi venti trenta anni, resta ancora difficile decifrare cosa aspetta loro: una pacifica convivenza con l’uomo o una perenne battaglia causata dalla diversità di un cromosoma, come se la storia degli ultimi cento anni non avesse insegnato, davvero, proprio nulla…

Riferimenti:
Una lista delle Marvel Graphic Novel
Una sinossi dell’albo in cui ricompare il reverendo Stryker, X-Treme X-Men n.25
Recensione di Magneto
Una biografia di Magneto
X-Men and Philosophy, a cura di Rebecca Housel and  J. Jeremy Wisnewski 2009, John Wiley & Sons, Inc.

Foto tratte da:
www.ushmm.org
cultura.utet.it/cultura/novita/index.jsp?id=2153

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