Il punto su Davvero!, il webcomic creato da Paola Barbato

Quando Paola Barbato, nelle prime interviste rilasciate sul progetto “Davvero”, si è chiesta perché nessuno in Italia in questi ultimi anni avesse tentato di proporre storie intimiste, romantiche, di formazione, è avvenuta un’importante, e a lungo attesa, intersezione tra la macchina artistica e produttiva del fumetto italiano e le evoluzioni dei gusti nei lettori degli ultimi anni.
Non è un caso il fatto che questo venga da una sceneggiatrice di uno dei fumetti Bonelli più amati dal pubblico femminile, pubblico forse tra i meno considerati nello scenario delle proposte offerte dal fumetto popolare nostrano.

Possiamo a buon diritto affermare che tra i vari influssi che i fumetti orientali hanno avuto sulla generazione di lettori e spettatori legati a manga e anime, c’è stato il concetto di diversificazione dei generi narrativi, scarsamente frequentato nell’editoria tradizionale. La Barbato stessa ci conferma quanto l’Italia (che pure, in altra epoca e contesto, è stata patria di esponenti intelligenti del fumetto adolescenziale come Valentina Melaverde) sia da lungo tempo cieca e sorda nei confronti di una domanda che esiste e viene lasciata in pasto ai concorrenti esteri.
Se da una parte si dice che le storie su amore e quotidianità non hanno pubblico, dall’altra ci sono adolescenti o adulte lavoratrici italiane che si immergono in shojo e josei, rendendo paradossali le affermazioni di chi si lamenta della concorrenza del fumetto d’importazione, poiché più che concorrere, gli stranieri sopperiscono a un vuoto. Se il contatto con il mercato cartaceo estero genera impulsi verso la diversificazione delle proposte, l’industria del fumetto nostrano (e forse l’industria italiana in genere) si ritrova spesso incapace di assorbire stimoli e insegnamenti esterni, badando solo a coccolare il pubblico consolidato e risolvendo l’interesse dello stesso pubblico per cose che vengono da fuori come una sorta di tradimento della famiglia. 

Si parla spesso a sproposito dei benefici della rete ma quel che è certo è che ogni compito pioneristico è lasciato alle idee degli autori e ai desideri dei lettori, e il formato web-comic offre forse il sistema più facile per concretizzare queste idee e amplificarne il messaggio.
I creatori di strip cercano i propri lettori su vari portali dato che le pagine dei quotidiani li ignorano, i disegnatori e gli scrittori mostrano il proprio portfolio sui siti personali o in condivisione su facebook. Giocoforza, una parte fondamentale in questo tipo di scommesse con se stessi è il dialogo costante con i visitatori delle pagine web, unico possibile traino dei vari progetti.
Se il “Davvero” della Barbato non offre un’interfaccia grafica particolarmente accattivante, forse esageratamente spartana nel suo voler essere immediata, dal punto di vista della comunicazione dei lettori lo spazio commenti e il gioco metanarrativo dei profili facebook dei personaggi della storia sono giunti tempestivamente e hanno funzionato in modo eccellente.

La Barbato fin dall’inizio cerca di sedurci ribadendo l’importanza dell’orientamento slice of life della sua storia. Cosa c’è di più seducente per un eventuale lettore adolescente o universitario italiano di un personaggio al quale viene dato un inaspettato strumento per decidere da sé della propria vita?
In molti, compreso chi scrive, nelle prime puntate della vicenda avevano rifiutato questo elemento come sproporzionato e poco verosimile, magari paragonandolo a possibilità personali non certo floride. In realtà non abbiamo fatto altro, inconsciamente, che confermare quanto la via intrapresa dall’autrice fosse azzeccata: il conflitto che i giovani di questo paese sentono come invincibile, all’interno della propria “storia” personale, è il fatto di non poter prendere in mano la propria esistenza, in un paese in crisi economica che scarica il peggio sui giovani. Neppure i benestanti possono decidere da sé, se non all’interno di percorsi prestabiliti e sicuri, guarda caso, come l’editoria tradizionale che “Davvero” si propone di sfidare con la sua stessa esistenza, con quello sbuffante “che palle” pronunciato nell’incipit della vicenda.

Fin dai primi episodi, sia da parte di chi commentava entusiasticamente la storia, sia da chi si mostrava più scettico, c’è stata la voglia di intervenire, di psicanalizzare Martina o di criticare le sue scelte. Se in ciò c’è una volontà di plasmare a priori il personaggio, non c’è nulla di diverso da quel perentorio “io una figlia così non la voglio” detta dal padre di Martina a inizio vicenda. Alla fine sempre di tentativi di manipolazione si tratta, subiti da altri o inconsciamente riprodotti nei loro schemi di pensiero da chi ne è già succube. Nemmeno noi “vogliamo” una Martina amorfa e priva di progetti, a cui viene data una possibilità di cui molti di noi sono sprovvisti. Ed è per questo che ci siamo susseguiti nei commenti, chi a sbeffeggiarla, chi a trovare cause da melodramma (anoressia? traumi?) alla sua inerzia.

La Barbato ci invita già nelle primissime risposte a interpretare il comportamento di Martina come un atteggiamento privo di vere motivazioni. L’atteggiamento si tiene come ostile risposta a pressioni esterne e, oltretutto, questo genere di comportamento ha predecessori illustri. Infatti, nella tradizione del manga giovanile (sia shojo che shonen) il protagonista è spesso volutamente ritratto come una sorta di ameba pronta ad essere riempita dalle aspettative del pubblico che andrà a intercettare.
La Nana Komatsu del celebre manga di Ai Yazawa ad esempio, è volutamente descritta a inizio storia come una giovane dal destino in balia degli uomini di cui si innamora, perché sarà nelle varie tappe della vicenda, attraverso l’incontro con personaggi significativi, che questa sorta di contenitore umanoide potrà innescare il processo di formazione voluto da autori e lettori, con gli ingredienti narrativi più avvincenti.
Lo stesso accade a Martina, che dirige il suo percorso personale  attraverso la convivenza con una variegata e squattrinata fauna universitaria, nelle cui asperità di vita e orgoglio il lettore medio può, finalmente, riconoscere la parte quotidiana di sé che vorrebbe raccontare. Gli atti altrui, i gesti spesso destabilizzanti ed estremi, sono il motore delle scelte di chi non ha reali desideri. L’impulso di chi desidera viaggiare, la rabbia di chi desidera strappare le bende (anche a costo di tagliare una ciocca di capelli, gesto esagerato quanto simbolico/sacrificale/iniziatico), l’impetuosità di chi desidera chiacchierare, abbracciare, fare amicizia.
Il protagonista-contenitore è pronto ad assorbire tutte le istanze interessanti, in una fase della storia in cui interesse ed empatia sono tutto. Inoltre, negli intrecci amorosi garantiti in questo tipo di storia, si intravede la vena realistica e cinica della Barbato, che dalle puntate recenti sembra divertirsi a costruire illusioni per la sua Martina che fa crollare come un castello di carte nell’episodio successivo. Sia per l’autrice che per i disegnatori coinvolti, spesso esordienti, un formato da sei tavole a episodio è comunque terreno di prova e sperimentazione. Se per i disegnatori è stata un’opportunità per testarsi e sfoggiare stili grafici diversi da quelli del canonico fumetto popolare, il piano narrativo ne ha fatto le spese per via di una lentezza iniziale, stemperata un po’ dal discorso di “progetto condiviso” tra autori e lettori in cui, tra le prime cose richieste al lettore, c’era la pazienza di cullare e lasciar decantare gli spunti della vicenda.
D’altronde una delle conseguenze più immediate della mancanza di pionieri di altri generi tra gli editori è proprio il fatto che nel nostro mercato non ci sono molte occasioni di rodaggio o di gavetta per promettenti disegnatori. Ma non è solo per questo motivo che si passa dall’applicazione quasi pedissequa di convenzioni grafiche tradizionali del fumetto italiano a stilemi differenti.
La varietà di toni e stili di questo fumetto sembra incarnare la volontà di suggerire i diversi stati d’animo narrati nella storia
: i toni pastello per le vicende amorose, le ombre da manuale del fumetto che solcano il viso dei personaggi in momenti quotidiani ma non privi di angoscia, l’alternarsi di disegnatori dal tratto realistico o comico in storie dello stesso tenore (scelta ragionata ma non sempre funzionale). A volte si rischia di rendere un po’ troppo teatrali alcune reazioni e stati d’animo dei personaggi, mostrando come questa via italiana al fumetto sentimentale debba ancora trovare una propria grammatica espressiva.
Tuttavia alcune sperimentazioni sono carine, come l’improvviso arrivo del bianco e nero in un momento emotivamente forte della storia.  

“Davvero” è comunque un fumetto dal solido impianto tradizionale, incurante delle sperimentazioni narrative che altri autori stanno facendo sul web, quasi a voler ribadire il suo desiderio di concretizzarsi su carta, su formati conosciuti e per un pubblico vasto, cosa che avverrà con la futura edizione Star Comics.

Abbiamo però visto quanto la voglia di fare di un manipolo di artisti, coordinati da professionisti in grado di mettere sul piatto esperienza e richiamo mediatico, sia in grado di presentare un progetto e renderlo appetibile per la distribuzione commerciale senza rinchiuderlo nell’autoreferenzialità sperimentale ma non sempre remunerativa.
Il fatto di non voler concludere il percorso su web ci dà comunque la misura di un rispetto per chi ha creduto nel progetto che speriamo venga riconosciuto e premiato.
Oltretutto ci viene mostrato come una possibile “via italiana” al fumetto romantico possa passare attraverso la descrizione verosimile di problemi economici e lavorativi. Una somma desiderata per spiccare il volo, un lavoro difficile da trovare, il confronto con i problemi e le spese della vita fuori da casa propria, sono tematiche che, anche se trattate in forma volutamente apolitica e d’intrattenimento, possono costituire argomenti di forte presa per una generazione ansiosa di gridare il proprio malessere in un paese per vecchi.

Riferimenti:
Il sito di Davvero: www.davvero.org

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