E venne il giorno… di Tex a colori!

In occasione di questo nuovo appuntamento fisso per gli appassionati di fumetti abbiamo intervistato Bruno Brindisi, il disegnatore di questo primo Color Tex. A corredo, un estratto dal volume “Bruno Brindisi – Una linea chiara per raccontare l’orrore” (Coniglio Ed., 2009).

Color Tex: parola di Bruno Brindisi

Mi permetto: non sei più (ahinoi) un ragazzino e hai una lunga esperienza professionale. Ma cosa hai pensato quando hai realizzato che stavi per disegnare il n.1 di una serie regolare di Tex e che prima di te questo era toccato solo a Galeppini?
Come, non sai che si è considerati “giovani disegnatori” fino a 50 anni? E che dovrebbe dire Ticci che fa Tex da quando io avevo un anno? Invecchiare (disegnando) è l’unico antidoto contro la morte. La soddisfazione di aver fatto un numero 1 di Tex mi fa gongolare, ti dirò!

Quando sei stato contattato nuovamente dall’editore per tornare a Tex ti era già stato detto che l’albo sarebbe stato colorato, esatto?
Sì, sono stato precettato, non mi è stato chiesto se volevo farlo, del resto loro sanno che possono contare su di me.

Che cambia nel tuo approccio lavorativo quando sai che l’albo sarà colorato?
Nel caso di Tex non cambia, non è una storia a colori, ma una storia colorata, all’antica, come piace ai lettori e all’editore. Il mio stile, comunque, non è mai troppo dark, quindi si presta. Ho lasciato il cielo bianco di notte. Stop.

Sei ripassato da 4 anni di Dylan Dog nuovamente a Tex; non è la prima volta. Come gestisci ora questi passaggi tra fumetto “storico” e “contemporaneo”… o meglio, ti senti perfettamente a tuo agio oggi con Tex come sei con Dylan?
Il passaggio è sempre traumatico, e anche il ritorno, ci vogliono una ventina di pagine di ambientamento, quindi cominciate a leggere da pagina 21.

Sei un attento e critico lettore delle sceneggiature; in questo caso hai lavorato per la prima volta con Mauro Boselli, attualmente autore principe delle storie di Tex. Come ti sei trovato con lui?
Io bene, dopo essermi abituato al suo modo di sceneggiare, già diviso per vignette, con i dialoghi scritti a macchina e gli scarabocchi e le scritte incomprensibili. Se ho provato a prendermi qualche piccola licenza sono stato prontamente bacchettato.

Visto l’autore, appassionato storico delle vicende texiane ((suo il libro “Tex Willer. Il romanzo della mia vita” www.librimondadori.it/web/mondadori/scheda-libro?isbn=978880460856)), è immancabile nell’albo da te disegnato il consueto flashback che lega le vicende attuali dei pard ad eventi del passato. Come ti sei trovato a disegnare il Tex “giovane”?
Appare poco, purtroppo, e nell’ambito delle prime maledette 20 tavole…

Negli ultimi anni sull’albo mensile di Tex si sono avvicendati disegnatori spesso eccezionali, che hanno saputo affrontare il personaggio con punti di vista personali o con omaggi smaccati ad un genere (i “gallepiniani”, i “sudamericani”, i “villiani”…). Ti senti di avvicinare il tuo tratto lineare pulito e dinamico al primissimo Galep?
Provo a disegnare Tex a modo mio, non credo di poter essere avvicinato a nessuno; spero che il mio lavoro sia apprezzato. Tra l’altro è stata la mia storia più tormentata, per seri motivi familiari. Ho dovuto lavorare in varie location, due studi diversi, a Milano in redazione, negli alberghi, persino a Praga da Celoni… sarebbe potuta venire sicuramente meglio, in un periodo più sereno. Però ho consegnato in tempo!

Nella “faceta” serie di interviste che realizzammo con diversi autori di Tex (al fine di mostrarne il lato “quotidiano” nel rapporto con gli autori che lo vedono come un personaggio reale) accennasti ad una tua particolare predilezione per Kit Carson. In questo albo è molto presente? A che punto sei con la tua opera di convincimento per uno spin off dedicato solo a Capelli d’argento?
Il protagonista è praticamente lui, c’è la sequenza della sua cattura che dura una quindicina di tavole! Grande Carson, ammicca alle signorine del saloon e lascia intuire anche altro…
Non ho voce in capitolo per i colori su Tex, figurati per le scelte editoriali! Comunque l’ho detto e lo ripeto, voglio un Color Carson annuale. Anzi, mensile. E voglio fare il primo numero, così batto Galep 2 a 1.

Bruno Brindisi – Una linea chiara per raccontare l’orrore

Estratto da:
Bruno Brindisi – Una linea chiara per raccontare l’orrore
Coniglio Editore – Aprile 2009
96 pagine, brossurato – 8,50€
ISBN: 978-88-6063-194-7
www.coniglioeditore.it/libri/bruno-brindisi

[…] Eppure sei stato un ottimo interprete del fumetto classico d’avventura made in Bonelli, ovvero Tex… con un debutto sul “Texone”!
Il mio percorso artistico mi ha portato, dall’esordio ad oggi, ad essere uno degli autori Bonelli definiti jolly, ovvero utilizzabili su più testate, anche se la mole di lavoro su Dylan Dog rende tutte le altre mie apparizioni dei flash. Il Texone, però, è un caso a parte. È un attestato di stima, una specie di consacrazione. Quando mi telefonò Mauro Marcheselli chiedendomi se ne volevo realizzare uno ci misi un po’ di tempo prima di rispondere… sentivo la grande responsabilità di disegnare un fumetto che è la celebrazione annuale del più importante personaggio della casa editrice Bonelli. I senatori della serie regolare di Tex hanno quasi tutti realizzato un Texone (manca Villa…) e gli ospiti (italiani e stranieri) su questa testata sono fra i migliori disegnatori al mondo. Nonostante diversi anni di carriera alle spalle, per un paio di giorni sono rimasto un po’ in ansia a pensare all’offerta ed all’impegno che mi attendeva.

E dopo aver accettato l’incarico…
… ho comprato dei libri e mi sono interessato a tutto ciò che era Old West e dovendolo rappresentare in maniera credibile per un pubblico di affezionati ed attenti lettori. C’erano molti nodi da sciogliere. La sella, mi chiedevo, come è fatta? Come sono fatte le fondine, gli speroni? Come si allaccia lo sperone allo stivale? Il problema di un disegnatore che vuole essere realistico è anche trovare la fonte. Non si può bluffare su queste cose. Le selle che ho disegnato ai militari, per esempio, sono selle western da cow-boy, con il pomo molto evidente per legarci il lazo. In realtà è un errore grave, ma diciamo che trattandosi di militari fasulli (si scopre nella storia -ndr) sono passate sotto silenzio.

Componente essenziale di un fumetto western è ovviamente la presenza di cavalli…
Non ti nascondo che per poco non mi sono iscritto ad un corso di equitazione; come già detto riguardo il disegnare le donne, sarebbe stato importante avere un contatto diretto per imparare quali sono i movimenti dei cavalli. È impossibile mediare queste nozioni dai film.
Sai che a cavallo si sale solo da sinistra? Se non te lo spiega nessuno o se non fai equitazione non lo sai. Non a caso Diso, che è un amante dell’equitazione e provetto cavaliere, disegna bellissimi cavalli. I miei sono quasi tutti frutto di copia da foto, ho dovuto poi adattare il tutto ai personaggi che li cavalcavano, alla prospettiva, controllare le proporzioni fra cavallo e cavaliere. Ancora, i quarter horse sono cavalli bassi con teste piccole rispetto al corpo, massicci, sono differenti dai cavalli degli indiani. Ancora: se copi semplicemente una foto di un uomo a cavallo di solito non funziona; il cavallo avrà le gambe corte, l’uomo avrà le gambe corte e sembrerà troppo piccolo, il cavallo sembrerà avere il sedere enorme. Ormai esiste una immagine idealizzata dell’uomo a cavallo che abbiamo visto per decenni negli albi a fumetti. Insomma… un gran lavoro.

E come hai mediato tutto ciò con la tua ricerca di realismo?
La smania di realismo non mi ha semplificato il lavoro; se prendi un Tex noterai che di solito i cavalli sono tutti uguali ed hanno tutti il lazo e la fondina del fucile a destra, e la borraccia a sinistra. Io, invece, sul Texone ho fatto l’errore di caratterizzare i cavalli e addirittura il tipo di finimento del cavallo stesso. Ogni volta dovevo andare a rivedere se il personaggio aveva la borraccia a destra o a sinistra, come era legata la sella, una faticaccia. A mie spese ho imparato la lezione: quando disegni un western è meglio fare tutti i cavalli uguali. Al massimo al capo indiano puoi fare un cavallo pezzato!
In ogni caso il West non è solo pistole e cavalli: è un fumetto in costume a tutti gli effetti; è ambientazioni, abiti, scrivanie, stufe, oggetti… tutto d’epoca. È indispensabile un’accurata documentazione; una volta acquisita, però, diventa tutto molto più facile.

Nel caso di Tex c’era anche un personaggio principale abbastanza ingombrante…
Tecnicamente, a differenza di Dylan Dog, era complicato rifarmi alla fonte d’ispirazione iniziale (che pare essere l’attore Robert Taylor, o un misto fra quest’ultimo e John Wayne) ed ho cercato di rifarmi al primo Villa, un po’ meno massiccio e squadrato di quello che disegna oggi, cercando anche di mixarlo con quello di Giovanni Ticci.
Credo che alcuni interpreti stranieri dei “Texoni” abbiano cercato di imporre il loro Tex piuttosto che rifarsi a quello a cui eravamo tutti abituati; per questo a volte sono sembrati fuori bersaglio. Io ho cercato di riprodurre il personaggio in modo ortodosso, senza strafare o allontanarmi troppo. Il mio Tex è risultato ai più rassicurante e questo mi fa sentire soddisfatto perché così volevo sembrasse; non volevo fare lo stesso errore che sentivo di aver fatto con Nick Raider, ovvero aver rappresentato l’eroe troppo ingessato, imbalsamato.
L’espressione di Tex, poi, è molto particolare: recita pochissimo, raramente vedi le sue pupille. Non ride e se lo fa ride poco, non fa smorfie. La sua espressione è anche data dal cappello: come mi spiegava Villa, se è troppo calato in testa sembra un cafone, se è troppo alto sembra un cretino, se sta troppo indietro sembra un bulletto. Ancora, sotto la falda del cappello non puoi lasciare il bianco, il tratteggio è d’obbligo; per fare l’ombra sulla faccia di Tex ci vuole un discreto coraggio… magari puoi provare a lavorare di tratteggio e di luce riflessa dal basso come fa Jean Giraud in Blueberry, ma non è facile. L’ellisse del cappello di Tex è fondamentale, come le sue proporzioni. Tutto questo per tacere del naso, che è particolarissimo: non è diritto e non è storto, ha una curva ad “s” appena accennata che è proprio quella di Rip Kirby o, meglio ancora, dell’ Agente Segreto X9, sempre di Raymond. A differenza di Dylan, quando segui il suo volto visto di tre quarti, c’è la fronte e lo zigomo sulla stessa linea e dopo entri e scendi fino al mento, che è volitivo, ma non è una “bazza”, come la chiama Sergio Bonelli. Sembra che abbia capito tutto, invece ho sbagliato tantissime facce di Tex, me ne accorgo quando mi rivedo. E’ inevitabile.

Parlavamo dell’essere ingombrante in senso metaforico; anche nel fisico, però, Tex è un grande personaggio…
È grande ma non è un supereroe; è alto ma non è un gigante. Se Dylan, per me, è un metro e novanta, (quanto Rupert Everett), Tex è un metro e ottanta. A mio avviso, a parte qualche caso particolare, Dylan è sempre il più alto nelle vignette; tra lui e Groucho ci saranno circa venticinque centimetri di differenza. Io immagino Tex e i suoi tre pards della stessa altezza (come li disegnava Galleppini) e con una struttura fisica molto simile: Tiger Jack e Tex sono fisicamente pressochè identici, Kit Carson è un Tex invecchiato (e ho provato a fargli un po’ di pancetta…) e Kit Willer è un Tex meno massiccio. Kit, a detta di qualcuno, l’ho fatto troppo somigliante a Dylan, forse per i capelli. Non l’ho fatto apposta!

Il fumetto western, sporco di terra e sudore, è un po’ distante dalla tua amata linea chiara. E sono tornati a far capolino nelle tue tavole i tratteggi.
Sì, ci sono moltissimi tratteggi in più rispetto alla mia media su Dylan Dog; ho anche ho usato spesso il pennarello scarico, creando un tratto tra il nero ed il bianco che, questa volta, è stato reso alla perfezione dalla stampa, ottima a dir poco, del Texone… sembra quasi un pastello. Era ovvio che per un’ambientazione sporca, con strutture in legno, con molte scene notturne, non potevo usare solo il bianco e nero netto, con quella soglia del 50% di cui si parlava prima; ho lavorato sui materiali, sulle rocce, sul legno, sulla terra, che possono fornire un’ottima texture… La scena finale, poi, nella stanza del predicatore, è alla luce di una sola lampada, con effetti in controluce, sfumature. In alcuni punti mi stavo quasi magnusizzando con tutti quei tratteggi (e qui ci sarebbe da sottolineare come Tex abbia costretto anche Magnus al tratteggio, lui che è sempre stato un disegnatore da tutti bianchi o tutti neri).

In ogni caso una esperienza importante, il tuo Texone, anche per le dimensioni, esatto?
Iniziamo dal fatto che per il Texone ho aumentato le dimensioni del foglio (da 25 x 35 a 30 x 40); successivamente ho mantenuto il nuovo formato anche per Dylan Dog. Una curiosità: il mio Texone è l’unico, assieme a quello di Capitanio, ad avere una pagina in più delle canoniche 224, infatti termina su una pagina dispari, a destra. Chiamai Nizzi per chiedergli di spiegare più dettagliatamente una scena e lui, che fu d’accordo con me, aggiunse una tavola. L’ho realizzato in due anni e mezzo, contemporaneamente ad un paio di “Dylan Dog”. Il ritmo era di due tavole ogni tre giorni almeno: tutte impegnative, ci sono più sfondi, più campi lunghi, più scene corali… se c’è un personaggio da disegnare a figura intera presumibilmente accanto ha (almeno) un cavallo, quando non c’è seduto sopra. Si tratta di un fumetto cinematografico; se Dylan è TV ,Tex è cinema.
Il Texone ha il tempo ed il respiro di un lungometraggio; come lunghezza di storia e come inquadrature. Quando Nizzi seppe che doveva scriverne uno per me mi disse che aveva pensato, visto che ero bravo con l’ambientazione urbana, di affidarmi una storia cittadina; gli risposi che avrei preferito invece disegnare un western classico, on the road e si corresse promettendomi una storia come se fosse destinata a Ticci. Era proprio quello che volevo.

Esperienza, sul personaggio principe di casa Bonelli, poi ripetuta sulla serie regolare…
Sì, mi fu chiesto di completare una storia non finita dello scomparso Vincenzo Monti; chiesi a Maria Baitelli se dovessi per caso rifarmi allo stile di Monti, ma mi fu risposto di non preoccuparmi, di disegnare con il mio stile naturale… ed infatti da una tavola all’altra c’è uno stacco notevole. Nella prima vignetta a pagina 113 del n.520, il capostazione che dice “in carrozza, si parte!” è proprio Vincenzo Monti, un mio piccolo omaggio. Una volta affrontata e vinta la sfida con il West e con il personaggio devo dire che un Tex ogni tanto lo farei con piacere prendendolo (con tutto il rispetto per il personaggio e l’impegno necessario a realizzarlo) quasi come una vacanza dal “lavoro” (inteso come “Dylan Dog”), distogliendomi dalla routine di un fumetto contemporaneo e di ambientazione cittadina. Mi calerei nella storia infatti senza la necessità di dovermi fermare a ogni vignetta per controllare strade, palazzi, tipi di automobili… Si tratterebbe di realizzare storie di grande respiro; esterni, paesaggi, rocce e questo mi permetterebbe di dare molto più sfogo alla creatività, alla fantasia: sarebbe pura… creazione.

A proposito di Monti capostazione, sono frequentissime le citazioni nei tuoi albi; tu stesso debutti nel tuo Dylan Dog d’esordio, il numero 51, a pagina 74.
È una cosa che ogni tanto faccio e che Marcheselli detesta: inserire persone reali, amici, parenti, nei miei albi… Nel mio primo Dylan Dog c’è anche l’amico e collega Luigi Siniscalchi. Però se cito o, se preferisci, scopiazzo un quadro, se guardi bene dichiaro sempre la fonte. Ad esempio, numero 142 di Dylan “Anima Nera”, pag.14, vignetta 2: i riccioli del bambino formano la parola “Egon”, perché quella posa l’ho presa da Egon Schiele. Sono un ladro, ma gentiluomo.
Il mio Texone è in realtà un omaggio di Nizzi a “La ballata del mare salato” (famosa avventura di Corto Maltese -ndr), Monkey è Rasputin e Kirby è un Corto Maltese biondo. Avevo provato a farlo bruno, ma praticamente veniva fuori Dylan con le basette!

 

 


Abbiamo parlato di:

Color Tex #1 – E venne il giorno
Mauro Boselli, Bruno Brindisi; copertina Claudio Villa
Sergio Bonelli Editore, 2011
160 pagine, brossurato, colori

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