Per Giacomo Monti non bastano quaranta letture

Alla 68a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia è in concorso il film L’Ultimo terrestre diretto da Gianni Pacinotti. La proiezione del film in anteprima mondiale ieri a Venezia è stata accolta con discreto favore dalla critica e apprezzata dal pubblico; non male per un debuttante assoluto quale “Gipi”. E mentre iniziano a fioccare i premi per il film, come segnaliamo qui, approfondiamo il discorso sullo spunto dal quale è nato il lungometraggio. Il soggetto del film, nelle sale da oggi 9 settembre, è ispirato al fumetto Nessuno mi farà del male di Giacomo Monti, pubblicato l’anno scorso da Canicola e ora in ristampa in libreria con una nuova copertina e un nuovo racconto.
Abbiamo intervistato l’autore, che ha le idee molto chiare sulla sua poetica e sul fare fumetti.

Quando hai iniziato a disegnare e come sei entrato in contatto con Canicola?
Poco prima di finire il Dams, dove mi sono laureato in storia dell’arte contemporanea, ho capito che da un punto di vista lavorativo non avevo nulla in mano. Quindi ho cominciato a fare vari corsi professionali e, non so come, ho provato un corso per illustratori e sono finito per qualche mese alla Scuola Internazionale di Comics di Firenze. Lì ho cominciato a disegnare e ho conosciuto Gipi, che era l’insegnante del corso di disegno.
Dopo un paio d’anni che avevo abbandonato la scuola, Gipi mi ha poi messo in contatto con Edo Chieregato di Canicola e loro mi hanno invitato a salire sul carrozzone. Poi abbiamo fatto tutto insieme.

Come lavoravi all’interno del gruppo? Si condividevano i lavori dei singoli?
Si discuteva sì, in certi momenti anche molto, ma io non partecipavo granché. Avevo poco tempo per frequentare le riunioni, lavoravo la notte, gli altri di giorno, quindi spesso davo buca. Le decisioni sul mio lavoro le prendevo in autonomia: non ci sono mai state discussioni a riguardo.

Hai iniziato fin dal primo numero di Canicola a lavorare su storie che poi sono entrate in Nessuno mi farà del male.
Avevi fin dall’inizio un’idea unitaria?

Ho iniziato a scrivere storie come naturale evoluzione del disegno. Parto come disegnatore, sviluppo soggetti e tematiche dei disegni in racconti. Non avevo in mente un libro, ma tutti i miei racconti nascono da un’idea forte, unitaria, che è la mia poetica. Ho le idee chiare.
Certi soggetti, tematiche, significati sono presenti prima nei miei disegni, poi si concretizzano in una storia, in una narrazione più strutturata, nella combinazione di immagine e testo.
Tra l’altro metà del mio lavoro è rappresentato da disegni che ancora non sono stati pubblicati (come quelli presentati alla mostra di Bilbolbul 2010). Tutti disegni su a4 e a pennarello.

Quindi sono due momenti diversi del tuo lavoro? Prima fai i singoli disegni e da lì sviluppi una narrazione?
Avendo una poetica molto definita e chiara c’è una forte affinità tra i miei disegni e le mie storie. Il disegno e la narrazione, però, sono cose diverse, due strade separate in un certo senso: se scrivo una storia non parto da niente se non dalle mie idee. Anzi per le storie in genere parto dal testo, dalla sceneggiatura.

La prima parte di Nessuno mi farà del male ha un’ambientazione realistica, nella seconda fai subentrare un elemento “fantastico”: l’arrivo degli alieni. Su Anobii ho trovato una recensione che definisce in questo modo il contenuto delle tue storie: “Alienazione dell’uomo e umanità degli alieni”. Ti dice qualcosa, a parte il gioco di specchi?
No, anche perché i miei alieni e miei uomini sono diversi fra loro, non sono categorie. Poi a me le definizioni non piacciono. Non ho voglia di perder tempo a pensare cosa hanno scritto: non è che non mi interessa, ma le mie storie vanno lette molte volte, puoi rileggerle anche quaranta volte e dopo hanno un sapore diverso dalla prima

Di certo gli umani non ci fanno una bella figura, cioè rimane una sensazione di disillusione sulle loro possibilità, come se fossero alla continua ricerca di denaro, fama, sesso e poco altro…
A me la gente non piace, ma non mi sembra che sia da leggere così: non è il messaggio delle mie storie… Questa è la pellicola, la prima lettura, l’apparenza. È che l’uomo singolarmente si salva sempre (a parte casi rari), ma fa cagare quando è in gruppo, e purtroppo sta quasi sempre in gruppo.

Come nel racconto che dà il titolo al libro: sembra che lui si stia per salvare ma poi torna nel gruppo.
Più o meno, ma non si possono ricondurre le mie storie a un significato letterale o a un “grande” significato… cioè al “cosa volevi dire”. La storia è e gli effetti e la sensazione che produce sul lettore sono il suo fine.

Cioè non puoi controllare come autore quello che produrrà sul lettore?
Sì che posso, devo creare qualcosa che sia aperto. Non è importante trasmettere un messaggio. Io voglio svegliare il lettore, stimolarlo, far sì che usi la testa, che si interroghi, che provi sensazioni… Poi è normale: io penso che l’uomo sia una merda e magari dai miei racconti alla fine uno si fa l’idea che io dica “l’uomo è una merda” ma quello è un aspetto secondario… molto secondario…

Perché la scelta della forma breve del racconto: ha una durata che ti è più congeniale? Cosa ti permette di fare?
Il racconto è più stimolante del romanzo, implica un maggior coinvolgimento del lettore, dice di meno. E in più mi dà la possibilità di lavorare su più temi, più ambienti, più situazioni, più personaggi e non mi fa perdere in lungaggini inutili. Credo che il racconto si presti meglio al fumetto, ne sfrutti appieno le potenzialità.
Quando scrivo non ho un centro, un personaggio, “una storia”, anche perché nella vita non c’è un centro, un nucleo essenziale, ma più centri, più nuclei… è tutto un divenire caotico, emozioni e sensazioni che si alternano… Il racconto può dare un’idea di un universo complesso a più voci… il romanzo raramente.

Quindi l’idea di farne un libro non è stata tua, ma è venuta dall’esterno? Da come racconti, c’era la possibilità che questa vita come flusso caotico potesse essere rappresentata ancora con altri episodi, come hai fatto a mettere un punto?
Non ci ho messo un punto. Io ero contrario al libro, mi piaceva l’idea della frammentazione del mio lavoro nella rivista, mi piaceva l’idea del ruolo attivo del lettore che se interessato al mio lavoro si andava a ricostruire quanto avevo scritto. Edo ha insistito sul libro e aveva ragione: i lettori che muovono il culo per fare lo sforzo attivo di capire un autore sono pochi, il mio lavoro sarebbe andato in parte perso. Mentre tutti i racconti uniti si valorizzano e quello che dico è detto in maniera più chiara…
Nella prima edizione del libro [2010] sono stati pubblicati i racconti che erano terminati al momento della stampa. In origine ci doveva essere da subito anche Contro gli dei [N.d.R. uscito su Canicola 9 e ora inserito nella nuova edizione che esce a giorni, sempre per Canicola] ma non ho fatto in tempo. Mancano ancora due racconti, poi metto il punto: se riesco a finire questi, chiudo.

Cioè pensi di chiudere proprio con il fumetto? Stai dicendo questo?
Sì, ho detto quello che dovevo dire.

Leggi fantascienza? Pensi abbia influito sul tuo libro?
Sì, leggo fantascienza… l’adoro, ma sul discorso influenze: in genere ritengo sia una domanda stupida! Tutto quello che ho letto e visto e sentito e toccato e assaggiato in vita mia ha influito…
Io sono come un pc: più roba butti dentro e più roba c’è in quel che esce.

Passando al film, come è andata con Gipi? Come ti ha detto che stava pensando al tuo libro?
A Bologna l’anno scorso era a Bilbolbul: ha preso il libro e dopo qualche giorno mi ha chiamato per dirmi che voleva acquistare i diritti. Alla fine io ho visto i soldi perché sono venuti dal cinema, è raro vedere dei soldi con il fumetto

Sai come ha lavorato? Hai partecipato in qualche modo?
No. Ho visitato il set un paio di volte, visto degli spezzoni. Gianni è stato gentilissimo e lo ringrazio perché vedere il set è stata una grande cosa. Bellissimo il mondo del cinema! Ho idea che sarà un gran bel film.

Sai se il fatto che si intitoli come uno dei racconti del tuo libro (L’ultimo terrestre) voglia dire che si concentra principalmente su quest’episodio?
No, il titolo ha senso per il significato del film. Il significato del film di Gianni è diverso da quello del mio libro. Il film è di Gianni al mille per mille…

Le ultime due storie che vuoi disegnare usciranno sui prossimi numeri di Canicola?
Se le scrivo e saranno buone usciranno su Canicola. Se le scrivo, ormai non disegno più…
Per mettermi a finire queste ci vuole uno sforzo colossale… Forse l’anno prossimo ho sette mesi di tempo in cui la notte posso lavorarci. Vedremo…

È solo una questione di tempo…?
Non solo. Ho bisogno di cambiare: l’idea di mettermi al tavolo da disegno mi fa venire il vomito ora. Ho bisogno di muovermi, andare in giro, parlare con persone, vedere posti.

Riferimenti:
Il sito della casa editrice Canicola Edizioni: http://www.canicola.net/
Su Facebook: https://www.facebook.com/CanicolaEdizioni

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