Peppino Impastato: un giullare contro la mafia

peppino-impastato CoverQuasi mai i volumi dell’editore Becco Giallo hanno un lieto fine; in alcuni casi il vero lieto fine è il fatto stesso che i volumi siano pubblicati. Peppino Impastato: un giullare contro la mafia non fa eccezione a questa regola. Il sottotitolo, in questo caso, è la migliore sinossi possibile per spiegare ai lettori chi è il protagonista del romanzo, anche se, al solito, oltre alla storia a fumetti, viene presentato un notevole apparato redazionale che ragguaglia su tutto quello che c’è da sapere su Peppino Impastato.

Questa è la storia della breve vita e delle coraggiose opere di un siciliano (e non sono pochi) di cui la propria terra deve essere orgoglioso.
L'”happy ending” purtroppo non c’è; il volume è inserito nella “collana di cronaca storica” dell’editore patavino e questo non permette agli autori di regalarci quella che potrebbe essere, ma non è, la vittoria della legalità e del normale vivere civile contro (citiamo il protagonista) “la montagna di merda” che è la mafia (come scritto in prima pagina sul giornale “L’idea Socialista”). È una scelta obbligata per lo scrittore Marco Rizzo che, pero’, ci dice che “anche nei fumetti di pura fiction su cui ho lavorato cerco di evitare di tranquillizzare il lettore con i lieto fine. Che sia per una scelta inconscia di mantenere l’attenzione del pubblico cercando di sconvolgerlo fino alla fine, o per puro fatalismo tipicamente siciliano, onestamente non lo so.”

Di certo, nel caso di Peppino come di Ilaria, se vediamo la loro morte come un sacrificio, forse una sorta di lieto fine c’é ancora: è nelle azioni e nelle parole della gente che a tutti i livelli prosegue nel loro operato e contribuisce a mantenerne il ricordo.”

peppino-impastato (1)La narrazione è affidata a due conterranei del protagonista: l’appena citato Marco Rizzo ai testi e Lelio Bonaccorso ai disegni. Per il trapanese Rizzo, giornalista professionista oltre che appassionato lettore e traduttore di fumetti, dopo il premiato albo dedicato alla tragica fine della giornalista Ilaria Alpi si tratta ora del secondo volume per la stessa casa editrice. Per il disegnatore, invece, battesimo decisamente di fuoco vista l’importanza dell’editore e la drammaticità della storia.

Giovane calato in un’atmosfera anni ’70, Lelio Bonaccorso ci ha raccontato che: “iniziando a disegnare questa storia, una delle cose che mi premeva era renderne l’atmosfera il più vicino possibile a quella vissuta da Peppino e i suoi amici. Di sicuro, per me che non ho vissuto quegli anni, un suggerimento è arrivato dalle foto..le guardi e poi viaggi con la fantasia. Spero solo che i lettori condivideranno l’impronta che ho dato.”. Un tratto spigoloso quello del messinese, a metà strada tra cartoon e fumetto d’autore, allo stesso tempo sinuoso e rigido; un disegno che non fatica a trasportarci in un periodo così vicino ma al tempo stesso così lontano… il tempo delle radio a transistor, dei gettoni telefonici, delle pellicole cinematografiche, della Democrazia Cristiana, così bene interpretato e reso grazie ad una linea che rifugge il tratteggio ma si lascia rendere tridimensionale da un acquerello mai eccessivo. Da sottolineare, oltre al normale lavoro “da professionista” di campo e controcampo nei dialoghi, qualche scelta felice (meriti da dividere, immaginiamo, con lo scrittore) per inquadrature (oblique o dal basso) e per intere sequenze (pagina 57 e 58) in soggettiva su mani e piedi del personaggio che ascolta Peppino Impastato durante una delle sue trasmissioni radiofoniche.

Dopo la drammatica prolessi della prima tavola, che anticipa in parte il finale “giuridico” della vicenda, Rizzo racconta (non in maniera cronologicamente lineare) la storia di Giuseppe, figlio di Luigi Impastato, “affiliato” mafioso, e di Felicia Bartolotta. L’adolescente Peppino, pur nato in una terra di mafia in una famiglia di mafia, ha la capacità di aprire gli occhi e finalmente vedere che cosa realmente è la mafia. Cervello e anima, tanto ne serve di entrambi per riuscire a capire e raccontare che quella mafia che colora la tua terra è male, è “una montagna di merda” e non che “la mafia è bene, la mafia è giusta…” ((Sono le parole che escono di bocca al giovane Natale nel film Mery per sempre (1989 Marco Risi); il film è ambientato a Palermo (in gran parte in carcere))). “Peppino viveva tempi interessanti e stimolanti, aveva amici e ispiratori di alto profilo o comunque colti e intelligenti” ci ricorda Rizzo; “penso allo zio materno Matteo e al pittore Stefano Venuti, due comunisti di Cinisi che osavano già solo con il voto sfidare la DC, o all’incontro con Mauro Rostagno, da adulto.” Acqua, aeroporti, strade, terre, negozi… il controllo della “piovra” condanna i siciliani ad una vita da sudditi e Peppino cerca di ribellarsi a tutto questo. Ma è il tipo di ribellione che fa di Peppino Impastato un precursore ed innovatore. Non è un procuratore antimafia, un superpoliziotto, non un carabiniere infiltrato; Peppino è un conduttore radiofonico, scrittore, giornalista ed attivista politico ((Alle elezioni comunali del 14/5/78 fu eletto consigliere comunale con 260 voti (Peppino Impastato era stato assassinato il 9/5/1978, cinque giorni prima delle elezioni))) e lotta con le armi che ha… “Per nostra fortuna” continua Rizzo “ci sono state persone come Peppino che forti della conoscenza di quelle logiche e quei sistemi, fanno un passo avanti e guardano criticamente quello che hanno lasciato alle spalle. E mi riferisco anche ai compagni e agli amici di Peppino che hanno lottato al suo fianco (e continuano a farlo ancora oggi).”.

 

Sfogliare le pagine del volume aiuta a capire perché la mafia ne decise la condanna e l’esecuzione cercando successivamente di screditarlo da morto. In un paese così piccolo, dove chiunque sa tutto di tutti Peppino non riesce a tenere a freno la sua voglia di cambiamento e di miglioramento; si inventa un piccolo giornale, un’associazione culturale ed una radio autogestita. Tutti mezzi di comunicazione che servono a far capire che si può creare una breccia nella cappa omertosa che condanna i siciliani da decenni. Gli interventi ironici e sbeffeggianti di Peppino ((Alcune parti della trasmissione radiofonica di Peppino Impastato sono online sul sito a lui dedicato: www.peppinoimpastato.com/inaria.htm)) creano fastidio perché tolgono dignità ad una casta di feroci malviventi, li rivela quali sono: stupidi, violenti, poco coraggiosi e, in sintesi, degni di ben poco rispetto. Il motto in latino castigat ridendo mores rende perfettamente il lavoro ai fianchi di Peppino-Davide contro il boss Tano Badalamenti-Golia, la cui casa è distante da quella di Peppino quei cento passi che hanno dato il titolo al coinvolgente film di Marco Tullio Giordana ((I cento passi – 2000, scheda su IMDB italian.imdb.com/title/tt0238891)). Un “lavoro ai fianchi” indubbiamente efficace, e “il fatto che Peppino l’abbia pagato con la vita” ci ricorda Rizzo “é la dimostrazione che il suo modo di fare era efficace. Tanto da portare anche insospettabili e conniventi ad ascoltare Radio Aut. La forza della buona satira è che è comprensibile da tutti, e che “alleggerisce” il messaggio. In Italia purtroppo gli esempi sono sempre di meno, e forse anche questo è un segnale della pericolosità della satira non solo per la mafia ma per il malaffare in generale”.

La tragica fine di Peppino (assassinato e fatto letteralmente esplodere in mille pezzi) ci ricorda, anche nelle tavole di questo fumetto, che la mafia, la camorra, non sono folklore, non sono “scippi” e piccoli furti, sono l’applicazione costante e senza pietà della legge del più forte. Sono cancri che minano la nostra vita ed il nostro pieno sviluppo come uomini e come società; basano, sul terrore e sul senso di inadeguatezza di uno Stato che dovrebbe tutelare i cittadini, le fondamenta del controllo del territorio, delle persone e di elementi basilari (come l’acqua in Sicilia) e delle attività malavitose (spaccio, prostituzione). Non da poco, ma da poco se ne parla, queste organizzazioni hanno iniziato ad investire i loro proventi in operazioni commerciali lontane geograficamente dalla Sicilia (e dalla Campania) nonché “pulite”.

Il clamore mediatico, che speriamo mai abbia fine, suscitato dal libro di Roberto Saviano ((Gomorra – Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra – Mondadori 2006)) e soprattutto il fatto che quest’ultimo dia realmente fastidio ai boss (che sperano sempre di gestire i loro affari sotto traccia, magari venendo ignorati colpevolmente dallo Stato) sono la dimostrazione che la forte arma in mano a Peppino era semplicemente la parola. Quella che racconta la verità, magari parafrasando “La Divina Commedia” (come nelle trasmissioni radiofoniche di “Onda Libera” su Radio Aut) o quella che romanza tragiche storie di interessi miliardari (come in “Gomorra”). La stessa parola che lega i destini comuni di decine di giornalisti, scrittori ((Una lista delle tantissime vite spezzate da attentati di “tutte” le mafie è sul sito dedicato a Peppino Impastato: www.peppinoimpastato.com/visualizza.asp?val=324)) e che usciva dalla penna del giornalista Giancarlo Siani ((Giornalista napoletano assassinato nel 1985 appena ventiseienne per volontà del clan Nuvoletta a seguito dei suoi articoli sulla camorra. È del marzo 2009 l’uscita del film Fortapàsc di Marco Risi che racconta la sua tragica vicenda.)) o da quella di Pippo Fava ((Giuseppe Fava, scrittore, giornalista e sceneggiatore. Morto assassinato il 5 gennaio 1984 a Catania. Padre del giornalista e politico Claudio Fava, sceneggiatore, con Marco Tullio Giordana, del film “I cento passi” (vedi nota 4).)).

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Per Marco Rizzo, però, la “parola”, seppur disarmata, “è forse l’arma che viene notata di più, quella più adatta a smobilitare le coscienze del grande pubblico più o meno volutamente disattento. Ma c’è anche quella del lavoro duro e rischioso dei magistrati e delle forze dell’ordine, che viene fatta risaltare solo con i rumori delle bombe o con i chiacchiericcio degli arresti eccellenti. E c’é quella dei parroci e degli insegnati “di frontiera”; che non usano solo la parola per battere la mafia e la mafiosità alle radici: ossia nelle coscienze dei più giovani”.
“Sono d’accordo”
dice il giovane disegnatore Lelio Bonaccorso “su una cosa che ha detto Saviano ultimamente, e cioè che se urlare e denunciare lo schifo che sono le mafie diventasse moda e business, si combatterebbe molto meglio. Raccontare oggi, di un episodio accaduto da 30 anni, non fa poi molta differenza… in fondo sguazziamo nella stessa identica melma che nauseava Peppino”.

Aggiungiamo che la dimostrazione che la parola, l’essere denigrati, l’essere raccontati per quello che si è (assassini di persone disarmate) è davvero uno dei punti deboli di queste associazioni, e viene confermata, con un contrappasso quasi scientifico (in parte anche illustrato da Roberto Saviano nel suo libro) dai tentativi della mafia (e della camorra) di screditare i personaggi scomodi, quelli che parlano troppo. L’omicidio di Peppino, infatti, fu “mascherato” da incidente, come se il trentenne cinisaro fosse incappato in un qualche problema mentre preparava un attentato dinamitardo sui binari della ferrovia. Gli anni (24), e l’aver superato un “muro di gomma” (per citare un altro – il terzo- film di Marco Risi) di forze dell’ordine e investigatori che definire “poco illuminati” suona come un complimento, hanno dato giustizia alla famiglia ed al ricordo di Peppino Impastato, chiaramente e tristemente morto perché raccontava la mafia ((In principio anche l’omicidio di Giuseppe Fava fu “catalogato” come delitto passionale e solo dopo 18 anni una sentenza ha dato “giustizia” al giornalista, anche lui, morto per mano della mafia a causa delle sue inchieste. Anche Ilaria Alpi (protagonista del precedente volume scritto da Marco Rizzo e uccisa a seguito di indagini “scomode”) era, curiosamente, stata oggetto di screditamento (cfr. intervista a Carlo Taormina -presidente della Commissione Parlamentare di inchiesta- a Linonline del 18 ottobre 2005: “In quei giorni Ilaria Alpi […] stava […] a prendere un po’ di sole. In merito a quello che di tanto misterioso avrebbe scoperto, per cui sarebbe stata uccisa, non esiste nessuna traccia e nessun elemento”))).

Non c’é da scusarsi se in questa recensione si sia parlato non solo del fumetto (inteso come testo e disegni) ma anche d’altro perché “Peppino Impastato: Un giullare contro la mafia” non è solo un fumetto, è anche un modo per omaggiare Peppino e, soprattutto, per non dimenticare lui e quello che ha insegnato. La mafia, dopo 30 anni dalla morte di Peppino Impastato, non è ancora stata sconfitta. Eppure ci fa piacere chiudere con una frase di Marco Tullio Giordana, che sottolinea come, pur se lunga e faticosa, questa battaglia va combattuta fino in fondo, e vinta in memoria di tutti quelli che strada facendo sono caduti: “Se oggi la Sicilia è cambiata e nessuno può fingere che la mafia non esista, ma questo non riguarda solo i siciliani, molto si deve all’esempio di persone come Peppino, alla loro fantasia, al loro dolore, alla loro allegra disobbedienza.”

peppino Impastato tavola

Abbiamo parlato di:
Peppino Impastato: un giullare contro la mafia
Marco Rizzo, Lelio Bonaccorso
Becco Giallo Editore, 2009
128 pag., brossura, b/n – 14 €

Note:
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Riferimenti:
Editore Becco Giallo: www.beccogiallo.it
Blog di Marco Rizzo: warbulletin.blogspot.com
Blog di Elio Bonaccorso: www.bonaccorsolelio.blogspot.com
Sito dedicato a Peppino Impastato: www.peppinoimpastato.com
Le tavole originali in mostra al Comicon a Napoli: comicon.it/mostra.php?id=55

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